Cosa si intende con il temine "danza liturgica" ?

"Entrare a capo chino,

eseguire in silenzio e per amore,

uscire in punta di piedi“

 

 Cosa si intende con il termine "danza liturgica" ?

Con l'aggettivo "liturgica" si intende designare, restringendo il campo, assai vasto e composito, della danza cosiddetta "sacra" o "meditativa" o anche "danza-preghiera", alla sola esperienza di composizione e esecuzione delle danze adatte al rito cristiano della Chiesa cattolica, si tratti di celebrazione eucaristica o della Liturgia delle Ore, secondo i Messali di Rito Romano e di Rito Ambrosiano. 

"In sintesi: questa esperienza rimanda al nascere e allo svilupparsi di un pensato tentativo di accoglienza, all’interno del rito liturgico, di questo genere di espressione che è la danza, in simbiosi con la parola, il canto, la musica, il gesto, il movimento, entro le coordinate ben precise della ritualità della Chiesa. Non ci si può nascondere che la danza in liturgia, nelle chiese del nostro continente europeo, soffre a priori di una considerazione poco favorevole, nutrita di stereotipi, di malintesi, di sospetti e soprattutto di mancanza di esperienze convincenti. Il fatto che le chiese di altri continenti (ad es. America Latina o Africa) nutrano invece un atteggiamento favorevole gioca per paradosso in sfavore, quando si invoca, a torto, l’impossibilità di far evolvere, su questo punto, la mentalità e la sensibilità delle nostre assemblee. Si tratta di un caso, potremmo dire, di de-culturazione, giudicato insormontabile. Le esperienze buone e serie, ancora rare ma in lenta crescita, offrono il migliore appoggio e sfidano la faciloneria di atteggiamenti supponenti e inappellabili.

Nel corso del lavoro per la danza in liturgia, particolare attenzione è data sia a momenti introduttivi di preghiera personale, sia a un ragionato sforzo di identificare i momenti della celebrazione da cui far fiorire, per così dire, l’azione danzata del gruppo, formato a intervenire quando il rito ne avrebbe giovato (processione di ingresso - eventualmente portando il Lezionario biblico; acclamazione dell’Alleluia; apporto dei doni eucaristici; canto del Santo; Padre nostro; canto dopo la Comunione - oltre ad altre tappe dell’anno liturgico, una particolare presenza alla messa ‘in Coena Domini’ del Giovedì Santo). L’esperienza delle numerose celebrazioni animate con la danza liturgica ha evidenziato come e quanto l’assemblea riesca a far proprio il gesto della danza nel momento in cui è invitata a cantare un inno o altro canto, sul cui ritmo e stile è costruito e realizzato  il movimento danzato."

 

 

 

Danzare per Dio

“E DANZANDO CANTERANNO: SONO IN TE TUTTE LE MIE SORGENTI” Salmo 87,7

 

Perché danzare per Dio ?

E’ necessario partire dalla premessa teologica: il Mistero della Creazione e dell’Incarnazione:

“Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò” (Gen 1, 27).

“Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4, 4).

“Se l’arte non potesse rappresentare il Cristo, vorrebbe dire che il Verbo non si è incarnato” (Teodoro Studita, in G. Ravasi, L’icona tra arte e fede).

Ho a lungo collaborato con Francis Barboza, missionario verbita e danzatore di danza indiana sacra classica, e con il suo gruppo, in uno splendido lavoro che consisteva nel danzare gli episodi della Bibbia, dove la vita non era disgiunta dalla danza. A lezione, nell’apprendimento stesso della danza il P. Barboza ci insegnava come la temperanza, la costanza, la mitezza fossero fondamentali per il raggiungimento della mèta, che doveva essere desiderata ma non con accanimento. Voleva che il suo gruppo fosse sempre unito in armonia e in pace; non si accaniva mai per i contrattempi ma era l’espressione dell’armonia e della pace divina, in serena accettazione della volontà di Dio.

 

Pregare danzando

Pregare danzando presuppone una grande confidenza sia con la danza che con la preghiera, sicurezza che si acquista, naturalmente, con la consuetudine. Devo aggiungere che il fatto di pregare danzando non fa parte della nostra cultura. Ci sono voluti molti anni perché io riuscissi a farlo, soprattutto nell’ambito della mia religione (sono cristiana cattolica). Per cogliere il senso della tradizione indiana manca ancora un elemento di congiunzione: il corpo e la sua assoluta centralità in questa cultura. E’ il corpo che permette di collegare la preghiera (attività dello spirito) alla danza (attività del corpo).  Rileggiamo Agostino: “Dio, il cui regno è tutto quel mondo che è nascosto al senso” (Soliloqui, 1. 1°, 3).

La danza può essere una meditazione. Il ritmo ha la straordinaria capacità di concentrare la mente, la quale annulla la sua costante e fastidiosa attività, che interferisce con lo spirito. Abbandonarsi alla danza significa avere fede che essa spazzerà via tutte le ansie, paure e negatività di ogni genere. Presenti già dal risveglio, esse spesso pregiudicano, se non ne siamo consapevoli, l’andamento della giornata.

Danziamo con cuore e devozione. Mani unite, come, nella danza, il corpo è unito con lo spirito. La mente è occupata e perciò zittita. Palmi verso l’alto, come il cuore rivolto al Signore. Per offrire devozione e nel contempo ricevere benedizione, le mani si atteggiano a coppa. La danzatrice compie l’offerta: pregando, intercede per tutti i presenti. La benedizioni che conseguono alla danza non sono solo per lei, bensì per tutti. La partecipazione di chi assiste è determinante.

 

Sulla danza in liturgia. Una riflessione

 

Anzitutto i fatti: i documenti storici che riguardano la liturgia in Occidente parlano, nei primi secoli, della danza in liturgia attestando   a. attenzione   b.  sovente critica   c.  andando avanti, fin nel post-Medioevo, posizioni sempre più negative da parte dell’autorità ecclesiastica. In epoca moderna tutto tace.   Questo, in Occidente.

Ma oggi vi sono importanti documenti, soprattutto degli Episcopati latino-americani, che ne trattano esplicitamente e in modo positivo e incoraggiante.    Nel (neo-nato) Rito zairese (o del Congo) vi è un’interessante rubrica del Messale, che cita esplicitamente passi di danza nell’apporto dei doni eucaristici.

Restando in Occidente, è chiarissimo che il problema è anzitutto e soprattutto più culturale, antropologico, che teologico. Una cristiana cultura del corpo (non il culto del corpo) ha stentato da sempre, e stenta, a farsi strada e a prendere radici.  Sospetti e malintesi hanno scavato la fossa e quasi sempre hanno il sopravvento, sostenuti anche da filoni di spiritualità tradizionale negativa. Le conseguenze pesano pure sul modo di agire nella liturgia: per la maggioranza, scarsità di gesti e ritrosia nei movimenti e nelle posture.

Quanto alla danza, la reazione più tipica, nel nostro mondo, consiste nel dire: “Andrà anche bene per i latino-americani, gli africani, gli asiatici … ma certamente non per noi !”. Il massimo della magnanimità è dare qualche pacca sulle spalle quando, appunto, cristiani di questi continenti partecipano da noi con la danza a una celebrazione specifica, in cui sono invitati.

Una delle conseguenze è la mancanza, finora, di trattazioni che prendano il tema in profondità e con competenza storica, teologica, professionale e pastorale. “La danza in liturgia” non è, per ora, il titolo di un corso, di uno studio, che abbia una presenza istituzionale o accademica. Sembrerebbe che, parafrasando, “non erat eis locus” … Le prime riflessioni un po’ serie stanno ancora nei cassetti o sono reperibili in una stringata bibliografia, per altro disponibile.

Esistono, e andrebbero conosciuti, non come semplici casualità o puri casi di nicchia, dei tentativi concreti, realizzati in questi ultimi decenni. Alcuni vanno valutati severamente, perché frutto di un’esagitazione scriteriata, che sembra voler dare la stura a sentimenti e a emozioni, più che significare e coinvolgere in senso prettamente liturgico. Sono casi reperibili.

Altri tentativi sono di tutt’altro tenore: sono stati resi plausibili da   a. una seria preparazione spirituale    b.   un’accurata formazione tecnico-professionale    c.   l’ispirazione proveniente da modelli coreutici validi    d.   l’inserimento preciso e motivato in qualcuno dei segmenti rituali della liturgia oggi celebrata.

Questo rimane il punto chiave: non si tratta di fare spettacolini durante la liturgia, quasi un modesto e gradevole intervallo. Si tratta invece di far nascere, per così dire, l’atto danzato dall’interno stesso dell’azione rituale, in maniera chiaramente individuata e ben studiata,  quindi consona a quello che il singolo rito sta compiendo. Solo così la danza ha un suo legittimo spazio nella celebrazione, ed è in grado di offrire quel “di più” che le è proprio, e che non viene dato dai consueti gesti e movimenti. Ma si può anche affermare che l’atto danzato è quasi un prolungamento dei gesti e movimenti già presenti nel celebrare.

Allo stato attuale delle cose, non è pensabile che interventi danzati seri possano essere realizzati da un gran numero di persone. E’ indispensabile che si cominci con l’azione di un gruppo molto qualificato - peraltro, con una certa analogia con il canto, che nell’assemblea, almeno inizialmente, va promosso e sostenuto da un coro liturgico. A pari, infatti, il gruppo di danza può animare alcuni momenti del rito, facendosi portatore di significati che l’assemblea può cogliere facilmente. L’esperienza ha insegnato che l’ottimo consiste nello strutturare i passi di danza sul ritmo e la scansione di un canto dell’assemblea - con il vantaggio che essa non sta con il naso per aria, ma in qualche modo, presa dall’atto di cantare, partecipa !

Eugenio Costa J.S.

 

Un abito per la danza liturgica

Il gruppo di danza liturgica diretto da Roberta Arinci ha spesso adottato il sari indiano come abito per i suoi interventi di animazione coreutica della liturgia. I risultati di questa scelta sono stati molto soddisfacenti, sia in termini di eleganza che di sobrietà spirituale. La cromìa dell’insieme è stata curata ogni volta in modo attento, evitando stridori negli accostamenti e decorazioni dispersive, puntando invece sull’armonia d’insieme. Questo è stato possibile grazie all’ampia collezione di abiti indiani di proprietà di Roberta Arinci che, periodicamente, li allestisce in una mostra itinerante: un’operazione culturale volta a dimostrare come a un abito soggiaccia una concezione di vita. (La mostra è stata ospitata, dal 1996 a oggi, in varie località italiane nelle proprietà del Fondo Ambiente Italiano e in alcuni Comuni della provincia di Varese).

Il sari è un abito meraviglioso, scelto per molte ragioni: è lungo e lineare, forma che in molte culture connota la veste rituale. Inoltre non ha taglio sartoriale, perché è un unico pezzo di stoffa, panneggiato con arte intorno al corpo. Questa peculiare caratteristica ci ha indotto a pensare alle parole “Rivestitevi di Cristo”: senza tagli o cuciture, il tessuto rimane integro e si adatta alla forma di ogni singolo corpo, ricordandoci come ci si debba lasciar trasformare dall’Eucaristia. Non da ultimo, la vestizione è anche investitura: “Nessuno viene a me se…” La consapevolezza di una chiamata è necessaria, senza conflitto con l’umiltà del servizio.

Il sari deve parte della sua bellezza all’asimmetria del risultato; esso permette i movimenti delle braccia, che restano libere anche se vestite sino al gomito, ma non nega la corporeità sottostante: si vedono bene le braccia e si individuano i movimenti del busto, benché pudicamente tutto coperto. Non ha inoltre alcuna malizia né vanità, per la sua sostanziale semplicità.

Nel tempo, ci è parso che il sari fosse troppo precisamente individuato da un punto di vista culturale: è l’abito indiano per eccellenza. Inoltre, la vestizione è troppo laboriosa, e il tempo per la preghiera di preparazione talvolta viene meno, cosa grave.

Rivestire l’abito nuovo

Si propone quindi il modello dell’abito indiano tradizionale  punjabi, che il gruppo ha già usato alcune volte al posto del sari (vedi foto sotto). Esso è composto di un camicione con manica corta, lungo fin sotto il ginocchio, indossato sopra un pantalone ampio al ginocchio ma ristretto alla caviglia, e sormontato da una sciarpa (o stola) ripiegata sulla spalla sinistra. Si pensa che potrebbe essere consono e comodo per le ragioni che seguono. Anzitutto è un modello a taglia unica. Bisogna tener conto del fatto che i partecipanti alle liturgie possono non essere sempre i medesimi. I costumi possono essere di proprietà della direttrice del gruppo, dell’Ufficio Liturgico o dei partecipanti stessi.

L’abito sarà color terracotta, mentre quelli delle stole sono gli stessi dei paramenti liturgici:

 

 bianco

 

rosso

verde viola

morello

 

 

La scelta della cromia dell’abito risente della volontà di armonizzare l’intervento della danza con la liturgia in atto, nel segno della discrezione, ma anche della ricerca di una connotazione che le sia peculiare, data la particolarità del servizio. Il bianco viene evitato, anzitutto perché su di esso non risalterebbe abbastanza il medesimo colore della stola (quando è in uso), poi perché è già indossato dai neofiti e dai cresimandi, e così via. Ne risulta un vestito unico, che si trasforma facilmente in cinque abiti diversi per i tempi liturgici corrispondenti.

La scelta di porre la stola su una sola spalla è in linea con la tradizione indiana, dalla quale mutuiamo questo vestito ma, soprattutto, ricalca l’uso analogo nel caso del ministero dell’animatore musicale, cui la danza è molto vicina. Per una felice casualità, in entrambi i casi si tratta della spalla sinistra. La scelta dell’abito non può prescindere da una riflessione, a livello strettamente liturgico, sul modo in cui la danza si colloca all’interno delle realtà ministeriali già presenti. Questo ci pare un aspetto molto importante.

Non è di nostro gusto l’uso di nastri legati ai polsi o tenuti nelle mani; ci pare che il risultato (come è stato possibile osservare altrove direttamente) sia più simile al tifo sportivo di derivazione statunitense che a una situazione di preghiera, seppure festosa. Inoltre abbiamo appreso in India che, usando le cinque dita delle mani, è possibile aggiungere grande bellezza a un movimento anche semplice, senza l’uso di protesi fittizie: non è già bello così, il corpo? E non è appunto questo, che Dio ci ha donato? Perché dimenticarlo, nascondendolo con orpelli (inutili alla liturgia, come insegna Romano Guardini) ?

Si ritiene inoltre che il semplice camice tipo cocolla non sia adatto a muovere il corpo; esso lo nasconde, perché il negarlo alla vista corrisponde alla sua precisa intenzione originaria. Analogamente alla scelta formale della statuaria medievale, il camice evidenzia solo le mani e il viso, cioè le uniche parti del corpo che servono per le funzioni corporee di cui le nostre liturgie hanno bisogno: parlare, cantare, prendere cose con le mani o porgerle. Le gambe, attive solo per quei pochi passi, possono ben muoversi al di sotto del camice. Il punjabi indiano invece, che ha una sua eleganza, permette piena libertà agli arti, che restano visibili, pur senza nudità non consone alle nostre liturgie.

La danza liturgica è cosa nuova: deve entrare in c/Chiesa in punta di piedi.

 

 

Repertorio di danze create dal 2005 al 2017

Danze create da Roberta Arinci appositamente per la liturgia eucaristica

ed eseguite durante varie celebrazioni

 

  1. Lucernari  *         (una danza diversa per ogni musica) :        

 

a)    Quoniam   (ambrosiano)

b)    Accendi nella sera  (Migliavacca)

c)    Chi crede in me  (lit. ore ambr.) - Cantemus Domino n. 540

 

  1. Inno * : La chiesa felice contempla

 

  1. Ingresso             (una danza sola, su più melodie) :

 

a)    Noi canteremo gloria a te / Tutta la terra… -  CD 7

b)    Mio Signore, gloria a te  -  CD  281 

c)    Aeterne rerum conditor  (ambrosiano)

d)    Veni Creator Spiritus  (gregoriano) – CD 306

e)    Signore, da chi andremo (inno Congr. Euc. 2010)

 

  1. 12 Kyrie  - rito ambrosiano
  2. Kyrie Missa de Angelis
  3. Gloria   -   CD  24
  4. Alleluia  -  CD  38
  5. Acclamazione quaresimale al Vangelo canto “gloria, gloria, cantiamo al Signore” http://www.youtube.com/watch?v=rdQD6Td2aro
  6. Dopo il Vangelo – Parole di vita  CD 110

10. Dopo il Vangelo – Cantemus D 198

11. Processione offertoriale su musica tradizionale indiana

12. “                     “               - Sei tu, Signore, il pane   CD 134

13. “                     “               - verbum caro / panis

14. Santo Gen verde

15. Santo G. M. Rossi   CD  75

16. Sanctus Missa de Angelis

17. Agnus Dei Missa de Angelis

18. Agnello di Dio - Casa del Padre 385

19. Allo spezzare del pane – “Pane del cielo”

20. Padre nostro – gregoriano  CD 121 o in italiano  CD 120 

21. Durante / dopo la Comunione  -  “Symbolum 77”

22. Dopo la Comunione  - “Mazurca per arpa”, musica registrata o dal vivo

23. Ave Maria  - gregoriana (popolare)  CD 334 o in italiano  CD 333

 

* si fa riferimento alla celebrazione vigiliare vespertina in rito ambrosiano, nella quale lucernario e inno precedono il canto di ingresso.

 

I canti vengono eseguiti dalla stessa assemblea, sostenuta dal coro e dagli strumenti musicali presenti. Solo nel caso della Mazurca è stata usata la registrazione audio, tranne che nel dicembre 2013, nella chiesa dell’ Istituto Leone XIII a Milano, durante la quale celebrazione era presente una musicista con un’arpa da concerto.